Tecnologia & Analisi delle Acque

La tecnologia a fluorescenza per la misura dell’O2 disciolto

Controllare la concentrazione di questo parametro nelle acque reflue risulta fondamentale per assicurare l’efficacia di un processo depurativo biologico

Maurizio Chioetto


Nella depurazione aerobica delle acque di scarico, se il processo non è adeguatamente dimensionato e il trattamento non è ottimale, si hanno rilasci di nutrienti nell'ambiente, come azoto, fosforo e sostanze organiche, con danni alla qualità dei corpi ricettori superficiali.

Un efficace sistema biologico di rimozione dei nutrienti (BNR - Biological Nutrient Removal), che consiste nell’utilizzo di un trattamento a fanghi attivi, costituiti da una popolazione di microrganismi naturali, può migliorare la qualità degli scarichi e salvaguardare l'ambiente.

In questo processo, l’ossigeno è il componente fondamentale per garantire la vita e l'attività della microflora batterica; conseguentemente, il controllo della concentrazione dell'O2 disciolto è di primaria importanza al fine di garantire l'efficacia della depurazione. Detta concentrazione deve essere pertanto continuamente monitorata, nelle vasche in cui avviene il trattamento e nelle varie fasi dello stesso.

E' infatti indispensabile che siano completamente sincronizzate le fasi di ossidazione - anossiche e anaerobiche - per assicurare l'eliminazione dell' azoto e del fosforo dalle acque di scarico, nonché la completa digestione delle sostanze organiche.

Nel primo step del processo biologico di riduzione dei nutrienti, più conosciuto come fase di ossidazione aerobica, si insuffla ossigeno nel sistema di trattamento dell'aria per ossidare i componenti organici e i composti dell' azoto (ammoniaca e nitiriti), che vengono trasformati in nitrati. In questa fase la microflora nitrificante è in grado di assorbire i composti del fosforo; in quella successiva (anossica), di denitrificazione, si interrompe l'insufflaggio dell'aria e, a causa della mancanza di ossigeno libero, i batteri utilizzano l'O2 presente nella molecola dei nitrati per la loro respirazione. Ciò fa sì che si generi azoto gassoso, facilmente eliminato dal reattore in forma di gas.

La fase finale, anaerobica, inizia quando l'ossigeno dei nitrati è completamente consumato e quindi i batteri, a causa della mancanza di ossigeno, sono sotto stress e rilasciano i fosfati che hanno incorporato durante il trattamento.

Il controllo dell'ossigeno disciolto

Tale monitoraggio, continuo e da effettuare direttamente nelle vasche di trattamento è fondamentale per l'ottimizzazione del processo di rimozione biologica dei nutrienti, in quanto il livello di concentrazione dell'ossigeno disciolto deve essere mantenuto stabile per ottenere la massima efficienza del trattamento stesso.

Inoltre, grazie al controllo continuo della concentrazione, si ingenerano anche benefici indiretti, quali la riduzione del consumo di energia elettrica dalle soffianti utilizzate per l'aerazione, se controllate opportunamente. Ciò induce quindi risparmi economici nella gestione dell'impianto. Normalmente si considera che circa il 70% del costo di gestione di un trattamento aerobico delle acque di scarico dipende dal consumo di energia elettrica usata per l'insufflazione dell'ossigeno. Nel corso degli anni, si è rilevato che il controllo automatico del livello di aerazione, realizzato grazie al monitoraggio continuo della concentrazione dell'O2 disciolto, consente di ottenere risparmi anche del 30 %.

Se poi si aggiunge anche il controllo della concentrazione delle sostanze organiche, dei nitrati, dell'ammoniaca e degli ortofosfati, l'ottimizzazione è garantita con i massimi risparmi economici possibili.

Come effettuare l'analisi

Negli ultimi decenni l'unica tecnologia utilizzata per la determinazione dell'ossigeno disciolto nelle acque, è stata quella con sensori galvanici o polarografici, denominati celle di Clark, o "sensori elettrochimici" e che consistono in un unico sensore contenente al suo interno una cella con un anodo e un catodo, immersi in un elettrolita e isolati dall'ambiente ove avviene la misura tramite una membrana semi-impermeabile all'O2 disciolto.

A causa della delicatezza della membrana e della facile contaminazione dell'elettrolita causata dalle sostanze presenti nelle acque, tali sensori necessitano di una manutenzione molto frequente, da effettuatre con precisione e accuratezza per garantirne l'efficienza.

Questa necessità ha sempre causato un enorme consumo di tempo per la manutenzione, stress nel personale; inoltre, l'efficacia del sistema di trattamento dipende in generale dal tempo dedicato alla manutenzione del sistema e specialmente alle sonde per ossigeno. Grazie alle recenti tecnologie, tali problemi sono stati superati dall'uso di sonde che consentono un’elevata efficienza nel trattamento, consistenti risparmi energetici, minima manutenzione e quindi minor impiego di personale.

Una delle tecniche utilizzate nei moderni sensori per la determinazione dell'ossigeno disciolto è la fluorescenza, che - in realtà - non è nuova, in quanto conosciuta e applicata in campo medicale da alcuni decenni. Tuttavia, in questi ultimi 5 anni, essa è stata sviluppata e adattata per l'impiego nei reattori biologici, e successivamente resa idonea per la misura nelle acque di scarico e superficiali.

Uno dei motivi principali che ha reso possibile il concepimento di sensori dedicati al trattamento delle acque di scarico, è stata la necessità di poter disporre, nei sistemi di depurazione delle acque, di sensori con una lunga durata nel tempo e di poter controllare efficacemente i costi di gestione. In aggiunta, si è apprezzata la minima o inesistente manutenzione di cui questi dispositivi necessitano.

I sensori a fluorescenza

I sensori sviluppati dalla statunitense INSITE e distribuiti in Italia dalla Ast Analytica sono in grado di soddisfare le esigenze di cui sopra e, a differenza della strumentazione che utilizza le celle di Clark (polarografiche o galvaniche), non hanno alcun materiale di consumo.

Le celle a fluorescenza del costruttore nordamericano hanno una vita media di circa 10 anni, ipotizzata dai vari esperimenti effettuati allo scopo di prevedere la loro durata e consumo nel tempo. In più, non necessitano di alcuna parte di ricambio, di nessun kit da sostituire, di nessuna membrana, film o cartucce.

I sensori a fluorescenza funzionano (figure 1 e 2) secondo principi consolidati: emettono internamente una lunghezza d'onda energetica specifica (475 nm) che viene trasmessa a un composto del rutenio immobilizzato su una matrice, cosituita da un gel. Il rutenio, che è un metallo similare a quelli del gruppo del platino viene utilizzato in lega per ottenere contatti elettrici che consentono una resistenza elevata.

Tale metallo assorbe l'energia prodotta dall'eccitazione degli elettroni nel complesso del rutenio stesso, che quindi collassano al loro stato originale di energia, emettendo energia luminosa a una lunghezza d'onda di circa 600 nm.

Questo, in buona sostanza è il principio della fluorescenza.

Se l'intensità della lunghezza d'onda emessa è strettamente controllata, la quantità di fluorescenza è predeterminata esattamente e quindi facilmente prevedibile e ripetibile. Se sono presenti molecole di ossigeno, la quantità suddetta viene ridotta, sulla base di un fenomeno denominato "estinzione della fluorescenza". Misurando l'estinzione è possibile conoscere la concentrazione dell'ossigeno disciolto nell'acqua che è a contatto con l'elemento sensibile di misura. La tecnologia di misura della fluorescenza utilizzata dai sensori Insite è molto diversa da quella chiamata chemi-luminescenza e utilizzata a volte per la stessa determinazione analitica. La fluorescenza, infatti, è la misura della reazione immediata di un materiale in risposta a una eccitazione causata da un emettitore di energia, mentre la chemi-luminescenza è la misura del tempo che il materiale sensibile necessita, dopo essere stato eccitato, a ritornatre allo stato iniziale al termine dell'eccitazione. Questo metodo è impiegato in alcuni sensori per ossigeno disciolto, ma è diverso dalla fluorescenza e non deve essere confuso con esso.

I sistemi a chemiluminescenza hanno sempre bisogno di sostituzione nel tempo della testa dell'elettrodo, in dipendenza delle caratteristiche dell'acqua in cui sono immersi.

Benefici

Il vantaggio di non avere parti di consumo, da sostituire o pulire, non solo elimina la necessità di effettuare interventi di manutenzione, ma riduce notevolmente l’obbligo di effettuare calibrazioni.

Infatti i tradizionali sensori per ossigeno con elettrodi di Clark abbisognano di una continua rieffettuazione della calibrazione a ogni sostituzione onde compensare gli effetti dei cambiamenti nella geometria dela membrana nei confronti del catodo e le variazioni degli effetti elettrochimici. Queste necessità non sono presenti nei sensori del costruttore statunitense. Inoltre, grazie all’affidabilità dell'elettronica interna del sistema, la deriva media sperimentata dai sensori è < 1 % annuo e, pertanto, è soltanto richiesta una semplice calibrazione annuale.

A differenza dei sensori con membrana, quelli a fluorescenza non hanno bisogno di speciali accorgimenti per l'utilizzo, trasporto e stoccaggio. Anche se diventano completamente asciutti, non risentono di alcuna diminuzione nella precisione, riproducibilità, tempo di risposta o calibrazione.

Il rutenio non è soggetto a deterioramenti a causa della luce del sole come i sensori a chemi-luminescenza che subiscono danneggiamenti e forti riduzioni nella sensibilità di rilevazione anche dopo un tempo di esposizione di un'ora alla luce solare diretta o indiretta.

I sensori a fluorescenza non hanno quindi cause di deterioramento durante il normale utilizzo e le normali operazioni di pulizia. Nel caso in cui, a causa della presenza di sostanze abrasive, la superfice ottica di misura sia danneggiata nel tempo, può essere facilmete sostituita.

Tutti i sensori sono intercambiabili e non specifici per un determinato strumento, il che ne facilita sensibilmente la gestione negli impianti di trattamento. La strumentazione on line proposta può gestire una sola sonda (modello 1000) (figura 3) oppure due sonde, (mod. 2000) (figura 4) di O2 disciolto e quindi con un solo strumento si possono effettuare due determinazioni. Inoltre, sussiste la possibilità di abbinare a una sonda per ossigeno un’altra per la misura dei solidi in sospensione, con la conseguente possibilità di avere informazioni complete sulla dinamica del trattamento per la gestione del depuratore.

 

(articolo pubblicato sulla rivista ACQUA&ARIA  Aprile 2004)



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